Falchi iF-Blog

Uno spazio interamente dedicato alla scrittura degli studenti di iF-Lab!

 

CARO TEATRO, TI RICORDI DI NOI?
come l’Assenza del Teatro in tempo di Covid19 ci ha fatto riflettere su noi stessi e sulla società che viviamo
prassi | limiti | possibili soluzioni

di
Elena Bazzurro, Thomas Bertorello, Eleonora De Bernardi, Alessandra De Santis, Francesco Dho, Giulia Di Benedetto Vittoria Gavazzi, Andrea Gilardenghi, Letizia Laurenti, Michael Locanto, Mattia Marzano, Veronica Musalem Francesca Patané, Barbara Sobrino, Francesca Tarallo, Adelita Tasso, Sonia Tripi, Angela Zinno

«L’Università è la vita!» Questa, la riflessione di partenza. Una frase saltata fuori per caso perché ci siamo trovati a discutere insieme come individui. Non soltanto come “studiosi”. E non è un caso essere partiti da questo assunto, in un momento in cui la nostra vita sembrava essere stata improvvisamente catapultata in uno “stop alla vita”. In un momento in cui tutto è sembrato arrestarsi ed esserci banalmente impedito. I gesti semplici, le azioni quotidiane, il senso stesso di vestirsi per correre a… Siamo partiti da questo perché esattamente per questo ci siamo ri-trovati insieme, in questa forma. Attraverso i monitor. Perché all’Università, improvvisamente, non ci siamo più potuti andare. Ed è stato forse proprio questo il momento in cui abbiamo capito quanto in realtà, fosse importante per noi andarci. L’Università è un centro, un cuore, un nucleo d'apprendimento, interiorizzazione ed elaborazione di sapere, di conoscenza nei campi più diversi - umanistici, scientifici, artistici.
Permette di compiere una esperienza unica, che si sviluppa dallo studio, da un cammino comune accanto agli altri, ognuno con la propria personalità, la propria specificità. Insegna ad assumersi responsabilità e a sentire il dovere di mettere a frutto attivamente la conoscenza. Ognuno svilupperà concretamente il nuovo sapere, con le proprie identità e la propria vocazione. Durante gli anni dell'università si assume una maggior consapevolezza, una migliore conoscenza di sé stessi, una coscienza critica, una comprensione degli accadimenti del passato e del presente, ed una visione più oggettiva e imparziale del mondo, tutto il mondo in cui viviamo. E ciò che è veramente necessario ed essenziale per la vita di tutti, non solo dal punto di vista materiale, ma anche e soprattutto spirituale e morale. La conoscenza e l'elaborazione di una più forte identità consapevole ci porta a combattere le ingiustizie e la sofferenza dei nostri simili e a contribuire al bene comune. La meraviglia, la passione, la curiosità, il calore degli scambi relazionali, i momenti lieti, le piccole ansie ed anche i sacrifici, gli affetti, tutto questo, specchio di questa fase importante della nostra vita rimarrà per sempre nella nostra memoria. (Adelita Tasso)
E oggi, ancora di più, l’Università rappresenta per noi un mezzo. Uno strumento per trasformare la solitudine in aggregazione. Il senso di scoramento in volontà di crescere. Di migliorare. Di combattere questo momento complesso e difficile con armonia. Ed equilibrio. Sappiamo bene che «La Solitudine del Corpo e dell’Anima» può produrre «Aridità. Immobilità. Surrealtà».
“La peggior solitudine è non essere a tuo agio con te stesso” diceva Mark Twain.
Così come la pianta senz’acqua appassisce, l’uomo senza la possibilità di comunicare e trasmettere sentimenti inaridisce, sino a dissolversi nel nulla; perde stimoli, volontà e la capacità di evolvere divenendo apatico, statico, sino ad apparire immobile, come una quercia millenaria che ha visto il susseguirsi di eventi straordinari, senza mai poterne prendere parte, senza mai poter essere “attore” o protagonista, restando relegata al ruolo di “comparsa”.
Questo crossing-over di Aridità ed Immobilità, ha come risultato l’irrealtà, ovvero la creazione dal subconscio all’anima, dallo spirito al corpo, di una propria dimensione esistenziale del tutto al di fuori del mondo reale, producendo in modo inesorabile - per chi la vive - la sensazione di sentirsi estraneo da ciò che è, che esiste, che vive, sino alla disgregazione del proprio io.
Essa è il prodotto perfetto dell’indifferenza, della mancanza di considerazione e fiducia, e produce distaccamento, perdita di coraggio e la conseguente incapacità di essere soggetti della propria vita. (Thomas Bertorello)

Quindi l’«Incapacità di riflettere e di riflettersi» diventa strumento necessario per restare presenti a sé stessi; far luce su un aspetto spesso celato da paure, disagi ci permette di non soccombere ad una irreversibile chiusura. Comprendiamo la necessità di «Assumere una Nuova Coscienza» di noi stessi. Degli altri, di ciò che ci circonda. Comprendiamo quanto sia necessario combattere contro le chiusure interiori. Contro la «Perdita e l’Abbandono di sé stessi»; contro l’«Opacità, l’Isolamento, la Frantumazione, la Divisione» che avvertiamo acuirsi in questo momento assolutamente singolare, controverso e inaspettato.
Tutto ciò può portare non soltanto ad un grave isolamento, ma anche alla frantumazione dell’umore in alcuni momenti, al silenzio. E ciò impedisce il calore e l’accoglienza, provocando angoscia nel pensare a chissà per quanto questa situazione continuerà a persistere (Francesco Dho).
Sono indubbiamente diversi e tuttavia simili gli aspetti “messi sul piatto”. E diverse sono le traiettorie aperte dalla paura comune; analizziamo entrambi i fronti: sia la chiusura che l’apertura concessa dalla contingenza: ciò che più spaventava all'inizio della quarantena era l’essere privata di tutte le attività che tenevano impegnato il mio tempo. Invece il dilatarsi del tempo, rallentare, l’annoiarmi addirittura, mi hanno dato la possibilità di riflettere su me stessa, su cosa mi piace davvero fare, su chi sono le persone con cui condivido volentieri la mia vita. Mi sembra di aver assunto un briciolo di coscienza in più su quale sia il senso che voglio dare alla mia esistenza (Barbara Sobrino).
Con un respiro più ampio espandiamo la riflessione. Tutto questo non resta relegato nel margine della questione pandemica. Purtroppo. L’essere umano spesso resta vittima di sé stesso e dei margini dei propri punti di vista, negandosi intrinsecamente la possibilità di ampliare i propri orizzonti. E se alcuni riescono a trarre vantaggio dalla riflessione coerente e sincera sullo stato emozionale che si vive, tanti altri non posseggono questa capacità. O non ancora, considerando auspicabile l’apprendere da ogni situazione che viviamo. Ma che cosa si intende per “incapacità di riflettere (riflettersi)”?
Balza subito in mente una possibile “definizione” da applicare: credo che si possa paragonare all’impossibilità di pensare, ponderare, soffermarsi a considerare gli aspetti e le sfaccettature di tutto ciò che ci circonda (azione rara e in via di estinzione). Pensiamo a tutto ciò che è successo e che sta ancora succedendo alle persone; una malattia che si è insidiata di nascosto e che ormai non possiamo più toglierci di dosso: intendo quell’odio così radicato che alcune persone riescono a creare, alimentare e aizzare. Ma badate bene, anche l’odio e la cattiveria si sono evoluti in una versione 2.0. Questi sentimenti così infimi pervadono i nostri schermi, i nostri monitor e rimangono lì, appesi a un sottile filo che conduce ogni volta a un bersaglio differente: donne e uomini etichettati “diversi” da una società che non sa nemmeno cosa sia giusto e cosa sia sbagliato.
Cosa succederebbe se le persone riflettessero davvero prima di spargere odio, prima di insultarsi, prima di prendere la parte di quello piuttosto che di quell’altro? Cosa succederebbe se tutti se cercassero di fare fronte comune per vivere leggermente meglio? È necessario lavorare insieme per l’assunzione di una nuova coscienza che abbia come UNICO obiettivo quello di creare un mondo migliore in cui ogni essere umano possa essere considerato tale. (Eleonora De Bernardi)
È senza dubbio necessario comprendere l’esatto «Valore dei Sentimenti». Siamo certi di conoscerlo davvero?
Siamo esseri umani che non sanno riconoscere ciò che provano, né ciò che provano gli altri. Siamo diventati ignoranti, timorosi, saccenti. Ci siamo trasformati in assassini di noi stessi. Abbiamo deciso di ignorare le emozioni. Non sappiamo più che cosa è la paura, la tristezza, la gioia. Non riusciamo più a piangere, a gridare, a ridere. Siamo donne che devono essere fragili. Siamo uomini che devono mostrare la virilità. Ci hanno incollato maschere che non ci rappresentano. Non abbiamo il coraggio di dire «Come stai?». Sappiamo solo dire «Intanto ti passa».
Cosa insegneremo ai nostri figli? Rideranno quando un bambino piangerà? Gli diranno «Non fare la femminuccia!»?
E una donna che chiede aiuto perché il marito la violenta?
Si sentirà dire «Mia cara, te lo sei scelto tu». Proverà un senso di abbandono, di ignoranza e di rassegnazione. Siamo diventati vigliacchi, analfabeti.
Le nostre vite sono diventate statiche, i nostri sentimenti freddi e quasi nulli.

Quando torneremo ad ascoltarci, ad ascoltare gli altri? Conosci te stesso e imparerai a conoscere anche gli altri. (Elena Bazzurro)
Con interesse notiamo quanto troppo spesso l’individuo sia tendente all’isolamento piuttosto che alla condivisione. E paradossalmente questo resta un fatto inconscio. Ossia non si è coscienti di quanto la velocità convulsa con cui gestiamo la nostra esistenza, ci isoli. Ci allontani dalla collettività. Ma restiamo pur sempre animali sociali. E come tali necessitiamo della presenza degli altri. Dell’ESISTENZA, degli altri. Come un perenne ricevere e proporre INVITO ALLA CURA; gli altri ci fanno comprendere esattamente chi siamo e qual è il nostro senso nel mondo; il confronto ci chiarisce e ci stimola a migliorare oltre a donarci calore e gioia. Questi sono tratti che paradossalmente appaiono generici oggi, in un momento in cui necessariamente il lockdown produce quasi come un alibi, l’opportunità di riflettere su chi siamo; sul dove vogliamo andare. (Sonia Tripi) A metà strada circa, tirando somme parziali, ci rendiamo conto che la maggior parte dei nostri ragionamenti possiede un massimo comun denominatore. Un fulcro univoco, che ci accomuna, che ci tutela, in qualche modo. Comprendiamo che quel senso di collettività – in apparenza giustificato dalla necessità di unione indotta dalla situazione emergenziale – esiste da millenni e pertiene all’essere umano nella misura in cui è rappresentato da qualcosa di cui più che la presenza, ora, avvertiamo inesorabilmente l’assenza: il Teatro.
Questo luogo dell’anima, del corpo e del pensiero che necessariamente ci appartiene. Ci comprende. Nell’accezione dell’atto di Con-Tenere. Immediatamente il ragionamento, partendo dall’individuo si indirizza alla comunità, perché il teatro è la voce dell'Uomo, non del singolo. (Barbara Sobrino) Il teatro ci permette di toccarci nel profondo l’un l’altro, di vivere pienamente ogni istante, di conoscerci ad un livello emozionale che diversamente non potrebbe essere raggiunto tanto facilmente. Un’esperienza unica!
Ciò che più mi ha sorpreso è stato vedere apparire in persone a me fino a quel momento sconosciute modi, gesti ed espressioni che fanno parte del mio carattere.
Il teatro permette l’incontro sincero con l’altro, libero dai pregiudizi e dalle maschere che ogni giorno ci sentiamo di dover indossare; spoglia tutti delle proprie superficialità e ci rende uguali, imperfetti e al tempo stesso unici. (Andrea Gilardenghi) e soprattutto è fatto di condivisione. Di arricchimento. Nel teatro siamo specchi perché riflettiamo ed esprimiamo agli altri quello che sentiamo. E in questo non c'è nessuna finzione. È tutto autentico, è un saper donarsi e ricevere, uno scambio che presuppone molta fiducia. (Letizia Laurenti).
L’attore è specchio dello lo spettatore e viceversa ed entrambi attraverso il teatro riescono a vivere tanti “sé stessi”. Il primo al fine di immedesimarsi nel personaggio e “arrivare” al pubblico si pone come colui che si specchia nelle altre persone e in sé stesso al fine di prelevare storie, emozioni, traumi che gli permettano di “costruire il personaggio” più empaticamente reale. Facendo ciò l’Attore si trova ad essere altro da sé stesso, un altro che però, per il fatto di essere “uomo”, avrà sempre qualcosa in comune con lo spettatore stesso. Dal canto suo lo spettatore pone l’Attore come specchio nel quale ritrovare il proprio riflesso. Assistendo e partecipando a ciò che l’attore mostra, lo spettatore rivive i sentimenti, le situazioni, l’emozioni e i traumi che ha sperimentato in prima persona e non, scoprendo quanto sia sfaccettato il suo stesso io. La metafora dello specchio rotto mostra proprio come all’interno di noi siamo costruiti da più “noi stessi”, i quali tramite il teatro ci vengono rivelati. Che tu sia attore o spettatore, il teatro ti chiederà di AGIRE, VIVERE ogni sfaccettatura di te. (Francesca Tarallo).
Vivere il teatro ci permette di vivere la propria immaginazione; dà vita al proprio spirito critico, alle proprie convinzioni, all’elaborazione di continue emozioni sia positive che negative.
Mi vengono in mente i nostri corpi immobili nello spazio silenzioso del laboratorio.
A fissarci vibranti, energici con sguardi di adrenalina, di volontà, il batticuore… (Giulia Di Benedetto) Il teatro non demonizza nulla e, anzi, con estrema delicatezza ed immensa forza sa dare significato anche all'angoscia, all'ansia, alla nostalgia. È la chiave dorata della gabbia, trasforma in carezze le fitte allo stomaco, dona dignità a tutti gli stati d'animo e così regala la libertà a chi lo vive, a chi lo sente. (Francesca Patané)

Riflettiamo sul senso catartico del Teatro, su questo Rito Collettivo che persiste, esiste, insiste da migliaia di anni. Ci rendiamo conto della necessità di esorcizzare dolori e passioni attraverso la loro stessa rappresentazione, conformemente alla visione aristotelica della “tragedia”.
Attraverso la catarsi, attraverso il dolore costruttivo arriviamo a ritrovare noi stessi, accettando anche parti di noi che non ci piacciono; spogliare e capire il proprio dolore, esprimerlo, è il solo modo di essere in buona compagnia, anche soli con noi stessi (Alessandra De Santis).
L’importante funzione catartica del Teatro risiede proprio in quella possibilità di far sentire la propria voce, di esprimersi, ma anche di esprimere qualcosa di diverso da sé, magari i propri desideri o qualcosa che si vorrebbe essere ma non si riesce ad essere nella vita quotidiana. Ti permette di essere un medico, un personaggio del passato, un folle, o anche semplicemente te stesso, puoi diventare per quel breve tempo qualsiasi cosa. Permette di liberarsi delle proprie angosce, di sfogarsi, di dimenticare momentaneamente le proprie preoccupazioni, ed è per questo che consente anche di raggiungere la calma interiore. Attraverso il teatro si può stare meglio, si può stare bene. È terapeutico. (Mattia Marzano). Rappresenta una capacità: quella di prendersi cura di sé stessi e degli altri, è il gioco più serio del mondo (Vittoria Gavazzi). Ci offre avventure incredibili: che siano tratte da storie vere o fantastiche ci offrono perennemente la possibilità di vivere l’unicità di un istante, di un momento condiviso, di farlo nostro. E il gusto raddoppia perché le vivi con altre persone. Il Teatro ti fa perdere la necessità di soddisfare il proprio ego (Michael Locanto). Viene in nostro aiuto. Sempre; ci salva dall’indifferenza e dall’inconsapevolezza. Attraverso le storie che racconta, a volte irreali, inconsuete, strane ed originali, il nostro sguardo si accende con una nuova luce e ci fa sentire vivi. Tutto questo si accentua perché il teatro si vive collettivamente, con altre persone che come noi, sono state trasportate nella dimensione della storia raccontata, che diviene realtà. Attraverso il teatro riviviamo ricordi o sentimenti che ci colgono di sorpresa. La capacità di meravigliarsi allora diventa fondamentale. Aristotele descriveva la meraviglia come uno stato mentale capace di stimolare il pensiero. E Einstein affermava che chi non fosse in grado di provare stupore o sorpresa era come morto, perché i suoi occhi erano spenti. L’esperienza condivisa del teatro accende i nostri occhi, arricchendoci la vita (Veronica Musalem).
 

E così, uno per uno attraversiamo ogni assunto attaccato al nostro “muro” sino a trovarci inesorabilmente concordi con una sola plausibile conclusione; e cioè che forse attraverso il teatro, durante questo anno vissuto insieme condividendoci e condividendo all’interno del nostro laboratorio, siamo riusciti in qualche modo a imparare un trucco. Abbiamo capito che soltanto quando abbiamo costruito la misura esatta dei nostri limiti, siamo pronti a lavorare per poterli superare. Coscienza. Consapevolezza. Intuito. Impegno.

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Questa è la lezione che abbiamo imparato. È necessario attuare una forte presa di coscienza nei confronti di ciò che amiamo, di ciò che desideriamo. Dobbiamo essere presenti a noi stessi, senza farci cogliere di sorpresa dal bisogno o dalla necessità. Avevamo il teatro. Vivo. Presente. Poi all’improvviso il grido della sua Assenza è stato talmente potente da risvegliare in noi innumerevoli
riflessioni. E questo è facilmente coniugabile a qualsiasi livello della nostra esistenza, delle nostre istanze di relazione.
Adesso, non senza aver pagato con la vita di innumerevoli vittime, non senza patire gravissimi scompensi nel tessuto economico ed emotivo della società tutta, lentamente tutto ricomincia. E noi ci prepariamo a ri-esistere in un modo necessariamente diverso, forse più consapevole, forse meno sfacciato. E consapevoli di quanto ci sia mancato e ancora ci manchi, aspettiamo fiduciosi di poter rivivere in presenza ed in coscienza questo meraviglioso rito di condivisione, questa pratica buona, questo Teatro di cui non possiamo fare a meno e che proprio non riusciamo a dimenticare.
E tu, caro Teatro, ti ricordi di noi? (Angela Zinno)
 


 


LABORATORIO PERMANENTE – STAGIONE 2019/2020
WORKSHOP DI PENSIERO CRITICO: MODALITÀ WONDERWALL1
diretto da Angela Zinno


A partire dalla fine di febbraio 2020 il laboratorio permanente iF è passato in modalità on-line sul canale creato ad hoc su Microsoft Teams e si chiuderà mercoledì 17 giugno pv.
Parallelamente allo sviluppo di svariate attività (video-making #minutocreativo – montaggio testo Mi manca il Teatro – lezioni su Voce, Ortoepia e Dizione – Lettura ad alta voce – incontri on-line con artisti nazionali e internazionali) ho iniziato a raccogliere su diversi post-it una serie di riflessioni, pensieri e assunti liberamente offerti dai partecipanti al laboratorio o inoltratimi su richiesta, rispetto a determinate argomentazioni trattate durante il periodo di quarantena.
Il passo successivo è stato discutere insieme ogni singolo assunto e fissarne su altri post-it il concetto opposto (Es. Assunto Campione: “RESTIAMO NOI STESSI” – Assunto Contrario: “PERDITA E ABBANDONO DI SÉ STESSI”). In questo modo lo spettro di pensiero rispetto alle argomentazioni si è espanso e ha prodotto lo sviluppo di pensiero critico nell’ambito di una serie di suggestioni relative al Teatro, all’emergenza sanitaria, alle istanze psico-emotive prodotte, alla possibilità di aggrapparsi a punti saldi di cui non si aveva coscienza, e altro ancora.
In ulteriore fase ho mappato le riflessioni attaccando su un muro (WonderWall!!) tutti i post-it e ho provveduto ad inoltrarne ai partecipanti le foto.

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NB. Nel 2019 ho partecipato ad un seminario con annesso workshop condotto da un noto artista internazionale a Bologna, per la mia ricerca in Arti Performative e Tecnologie Multimediali, nell’ambito del dottorato in Digital Humanities che svolgo in UniGe. Ho ritenuto che la modalità del workshop WonderWall – che per prima ho sperimentato seppur in contingenza argomentativa diversa – potesse essere fruttuosamente valida anche per le classi del laboratorio permanente de ilFalcone, offrendo ai partecipanti la possibilità di impadronirsi di uno strumento abbastanza efficace per canalizzare in forma scritta e coerentemente critica, i pensieri. Tengo dunque a precisare che la struttura organizzativa del workshop non è una mia idea, ma soltanto una mia trasposizione creativa, ossia qualcosa che ho appreso in altro ambito e in secondo momento riproposto, modulato e condiviso con gli studenti del Teatro Universitario.


I partecipanti hanno elaborato una serie di connessioni tra i diversi assunti “attaccati al nostro muro delle meraviglie” e prodotto un breve elaborato scritto argomentando criticamente le connessioni scelte. Mi hanno inoltrato sia le immagini delle connessioni che gli elaborati scritti.

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L’articolo che segue è il risultato di questo lavoro collettivo. Dopo aver raccolto tutti gli elaborati ho cercato di costruire una linea guida che ripercorresse logicamente i concetti espressi da ogni singolo partecipante, citandone testualmente le parti scritte senza intervenire in nessun modo sul testo.
Indipendentemente dal risultato ottenuto che non si arroga il diritto di definirsi “articolo” quanto semplice espressione critica elaborata collettivamente, posso confermare che il percorso intrapreso è risultato interessante e profondo ed ha visto perennemente l’interesse, l’entusiasmo e il serio impegno di tutti gli studenti coinvolti.

Angela Zinno


 

 

Ultimo aggiornamento 23 Dicembre 2024